Infatti, la frase dovrebbe essere: “È venuto il tempo di imparare ad amare i vini non naturali”, cioè i vini in cui incontriamo centinaia di integratori (soprattutto sapori chimici provenienti da laboratorio) che rendono un Pétrus prodotto artificialmente migliore dell’originale al prezzo di, diciamo, soli 3.00 euro.
In un grande, seppur conciso, articolo del nuovo periodico polacco “Ferment” un tale fenomeno è riferito alla domanda di consumatori. Vorrei aggiungere qui il divario tra ricchi e poveri e il fatto che le grandi corporazioni sono ben consapevoli del rischio di staccare un povero universale da grandi piaceri tradizionali. I piaceri di grandi e ricchi rimarranno, però, nel cerchio stretto di prodotti naturali con l’accesso per coloro che possono permettersene, perché i prezzi sulle etichette naturali rispettano il vero ritmo della produzione, mentre alle masse verranno offerti sostituti industriali. Senz’altro di prima sorte e ancora migliori di ciò che possiamo chiamare naturale.
In questo modo emergono due mondi paralleli, con chiare prospettive di promozione, con frontiere trasparenti attraverso le quali gli individui più forti potranno passare senza permessi (beh, il solo permesso saranno sempre soldi).
Mi sto preparando per questo sistematicamente. Il processo sembra inevitabile, perché alla fine cosa importa all’Eternità se un Krug è nato in Francia o in una fabbrica vicino a Bologna. Cosa importa a un povero marito se la borsa della sua moglie è un falso o no, forse è importante per un Asimov (Eric), ma un povero bada piuttosto a ciò che si potrebbe trovare dentro la borsa.
Bisogna, però, essere attenti. I vini economici non sono sinonimi di vini innaturali, e tale – leggendo il testo in “Ferment” – potrebbe esserci l’impressione. Se fosse così, alcuni blog avrebbero improvvisamente perso il senso dell’esistenza. Già vedo il Web lamentare.
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