Ed è venuta l’ora di dubbi. Dopo sei anni di blog mi sento perplesso perchè avevo sbagliato nelle scelte. Finalmente mi rendo conto che lo scrivere sul vino dovrebbe appartenere a chi veramente ci si conosce. Ma non è troppo ovvia quest’affermazione? Siamo, però, in un’epoca dove ognuno può permettersi di dire la sua su tutto. Poi, scrivere agli Italiani a proposito di vini italiani, non essendo nemmeno esperto in materia, farlo in una lingua che rimarrà per sempre straniera? Rischioso. C’è anche un’altra cosa. Mi sento lontano dalla retorica che crea realtà separate. Più sono vecchio, meno divento latino. Del resto invidio chi lo sa fare per le frasi lunghe e complicate anche se dietro spesso non trovo nessuna traccia di pietre dure, di foglie verdi, di terra umida. Perchè la lingua è per me un mezzo e non la fine.
Sto, quindi, per mettere in dubbio la formula stessa di ciò che faccio. Tempo fa ho preso sul serio le parole di Tim Atkin quando diceva che il blogger di vino non doveva descrivere vini, ma creare piuttosto storie in cui il vino sarebbe stato un pretesto letterario e il vino era per me sempre un pretesto. La realtà umana è molto più interessante di quella nascosta nelle parole soggettive su sapori e aromi. Scrivere in un blog, cioè dedicarmi una parte della vita a tessere la realtà da cui si potrebbe ricavare qualcosa di utile e positivo, non ha niente a che fare con descrivere minuziosamente una bottiglia o un bicchiere con qualcosa dentro. Il tempo umano è troppo prezioso per guastarlo facendo marketing e sbilanciarmi per chi ci abbia voglia di guadagnare.
Poi, di un colpo, cercando vini interessanti mi sono urtato contro la discussione del 2013 sulle opinioni pronunciate da Fulvio Bressan. Ci ho, soprattutto, trovato una in cui il lettore incazzato (il cognome di cui non m’interessa affatto) si era rammaricato sullo stato della sua anima sofferente perchè un Bressan avrebbe infranto la decenza. Ed era, secondo il lettore, assolutamente obbligatoria la decenza affinchè un Bressan potesse creare vini degni. Visto che Bressan non era decente i vini che faceva neanche erano degni, vuol dire erano destinati al bando. Così in un breve riassunto. La faccenda era venuta di lampo eppoi di lampo scomparsa, l’aveva, dopo, descritta anche Franco Ziliani, ma so che ciò non vuol dire niente perchè neanche Ziliani sarebbe degno di essere citato, per chi conta.
Poi qualche militante affamato si è ricordato della cotoletta ormai vecchia di Polanski scuotendo la rete e la realtà. Lo vedo, questo paradosso, proprio nel rapporto che si crea nella mia mente tra un Bressan e un Polanski. Da lontano si vede, da vicino si inizia a incazzare, sprecare, maledire e ognuno ha il suo diritto di farlo contro chi gli pare a seconda dell’etica succhiata dalla madre. Io, invece, sono fora, lontano. Non riesco a discernere bene contorni d’individui potendo capire e giudicare soltanto attraverso le loro opere. L’Italia, la vedo con quadri di un Mantegna, con libri di un Manzoni, con vini di un Bressan o di un Gaja, pur anche con recensioni di uno Ziliani. Le America, Polonia, Francia, le vedo, anche, con film di un Polanski. Quindi con ciò ch’è stato realmente creato e diventato oggettivo e non con cazzate né intenzioni di un autore.
Lo stato d’anima di chi beve un vino fa parte del tizio che proprio il suo vino beve e non c’entra niente come si comporta quello che aveva creato il detto vino. Un falegname che fa tavole e che di notte nei dintorni ruba schei va processato per schei rubati e non per tavole bene o male fatte. Il vino diventa importante per me, da lontano come sono, se esiste essendo, secondo degustatori, divino, anche se faccio parte di 80% di chi vive in Polonia e posso soltanto spingere il mio naso contro il vetro della vetrina, visto che il dolce è troppo costoso e, anche nei sogni, troppo lontano. La lontananza, però, non ha niente a che fare con dubbi, è piuttosto connessa all’età di chi scrive queste parole, ma ciò è già un’altra cosa.
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